venerdì 8 marzo 2019

Giovani devianti: minori penali


Di cosa parliamo?
Parliamo della fatica di crescere e di essere considerati adulti, disagio comune a molti, che ad alcuni ha portato a qualche incidente di percorso, come il compiere qualche reato (L'ottanta percento dei casi).
Parliamo di azioni e comportamenti che possono portare a provvedimenti sanzionatori, di restrizione delle libertà ad esempio.
Per approfondire alcuni di questi comportamenti devianti, leggete il post di Cristina e il post di Eleonora.
Parliamo di giovani che non hanno potuto vivere e sviluppare fattori protettivi, necessari a difenderli da ambienti familiari e sociali devianti, ma anche di ragazzi condannati per il solo fatto di non essere italiani di origine.

La capacità di un giovane di adottare o meno dei comportamenti dannosi o di sapersene allontanare è  da numerose variabili, che se non entrano in campo possono portare il minore alla marginalità e alla devianza: di certo autostima e consapevolezza del proprio valore, che messe assieme possono creare un ottimo fattore protettivo, il senso di autoefficacia.
In questo, la famiglia e la scuola, le attività extrascolastiche e le giuste compagnie sono fondamentali.

E quando ciò viene a mancare, i minori possono incorrere anche nel carcere.
In Italia, dopo anni di riflessione e di dibattito tra giudici minorili, avvocati e operatori del settore, è entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale per i minorenni, il quale garantisce al minorenne non solo un giudice specializzato, ma anche un processo orientato non tanto verso l’accertamento del reato quanto piuttosto verso la persona in quanto individuo in formazione a cui va riconosciuto il diritto all’educazione, al sostegno, alla protezione.
Uno dei principi fondamentali del codice di procedura penale minorile è quello della residualità della detenzione, misura da utilizzare solo nel caso in cui tutte le alternative siano fallite.
L’esecuzione di una condanna in un istituto minorile, infatti, solo raramente rappresenta un deterrente, nella maggior parte dei casi conferma il soggetto nel ruolo di delinquente, non esprimendo una finalità educativa che agevola percorsi di ripresa.
Il carcere, infatti, costituisce un ulteriore elemento nel processo di emarginazione che, potenziando nel ragazzo l’identità di sé come soggetto deviante, riduce la possibilità di far riferimento alle risorse dell’individuo, e non rimuove le cause che hanno originato la sua condotta, con la conseguenza che, una volta espiata la pena, si riprodurrà la stessa situazione di conflitto preesistente."
Residualità della misura carceraria, tuttavia, non significa assenza di risposta al fatto reato; la risposta è esigenza della collettività ed intervento doveroso nei confronti del minore.
Il superamento della risposta carceraria come unico strumento di rieducazione, rende possibile sperimentare e creare interventi più rispondenti alle caratteristiche personali del soggetto.

Ecco che entrano in campo le comunità educative per minori, strutture educative residenziali a carattere comunitario che si caratterizzano per la convivenza di ragazzi e gruppo di educatori che garantiscono la presenza h24.
In particolare, alcune di esse sono votate all'accoglienza di minori sottoposti a misure alternative al carcere.


Ritengo fondamentale la gestione di un minore deviante sottoposto a misure cautelari tenendo in considerazione innanzi tutto la sua condizione di fragilità e le potenzialità nascoste dietro a gesti violenti o considerati fuori dalla legge.
Una risposta educativa adeguata potrebbe essere un buono strumento per "tirare fuori" da questi ragazzi ciò che negli anni non hanno potuto dimostrare, prima di tutto a loro stessi: che essi sono parte della società e possono contribuirne positivamente.
Il loro reinserimento nel mondo "normale e reale" è necessario al riconoscimento e ritrovamento della loro identità. Ma tutto questo ha il rischio che essi ricadano nella criminalità.
Solo tramite la sinergia tra tutti i servizi pubblici si potrà davvero rendere questo percorso un guardrail che li tenga in carreggiata, spronandoli ad una crescita emotiva e relazionale e ad una rielaborazione del proprio vissuto in chiave di apprendimento "per non farsi più male".

Servono educatori preparati e appassionati, che siano forti e di riferimento, perché seguire un minore nel percorso di reinserimento  sociale sarà ogni giorno una risocializzazione difficile, combattuta.
La società è pronta alla sfida?



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